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I Circoli erano divenuti così luoghi di dibattito e di formazione, dove si era deciso, richiesto ed ottenuto (per le inoppugnabili argomentazioni portate a sostegno di questa forma minimale di condizione di Democrazia) di avere la presenza delle testate della stampa nazionale di tutte le tendenze politiche e non solo quelle vicine ad ambienti e culture di destra come avveniva fino a quel momento. I Circoli erano divenuti ambienti dove venivano allestiti spettacoli teatrali (animati soprattutto da sottufficiali meridionali, con la realizzazione di opere di De Filippo) e dove le signore si ritrovavano ora per discutere di tutto e non solo dei vecchi pettegolezzi, ed organizzavano la realizzazione di manufatti di varia natura per animare le iniziative sociali e di solidarietà della vicina circoscrizione di San Giusto. Come sempre avviene nelle “rivoluzioni” il primo passo era la riconquista della propria dignità di Persona e Cittadino, al di là delle proprie funzioni e del proprio status professionale. E la riscoperta di questa dignità si accompagnava da una parte con la scoperta dei propri limiti culturali e sociali, con la necessità di compensarli, e dall’altra con l’abbandono di quella paura servile verso i superiori che li aveva mantenuti soggiogati e passivi di fronte a “concessioni paternalistiche” di quanto andavano riscoprendo come veri e propri “diritti”. Una condizione di servilismo che avevano fin lì accettato forse nella illusione di una tranquillità di vita, svenduta in cambio dell’ignavia e della sudditanza, “pronta, cieca ed assoluta” incapace di autonomia di pensiero. Ma una condizione che certamente si legava anche alla atavica composizione aristocratica delle classi di Ufficiali a fronte della estrazione popolare dei Sottufficiali e dei Militari di truppa, e che ora era cambiata grazie al progresso sociale e culturale della Società Civile ed all’arrivo di molti laureati anche tra i Sottufficiali e gli uomini della leva obbligatoria. Non e’ sempre facile mutare i condizionamenti storici di una società rigidamente divisa in classi, ma il lento cammino della Democrazia e della consapevolezza di dignità costituzionale stava finalmente arrivando anche nelle Forze Armate. E determinava un progressivo confronto ed una contaminazione non più controllabile tra la cultura della Società Civile e le logiche di una cultura militare chiusa e totalizzante. Per la prima volta una rappresentativa di “militari atleti” (ma non troppo ed altrettanto “atletici”, viste le pancette che alcuni già esibivano) partecipò ad un torneo di calcio estivo amatoriale promosso dalle circoscrizioni pisane. Il Comando della 46^ irrigiditosi in quelle prime prove di forza, considerava illegittima la pacifica “occupazione” del Circolo per quelle attività di socializzazione e, avendo ottenuto dai Sottufficiali dei fieri rifiuti alle proprie disposizioni di abbandonare assieme alle loro consorti i locali del Circolo, inviò Sandro a “parlamentare” con i “caporioni” della rivolta: i Totaro, i Pignatelli, gli Stilli, e quanti altri erano ormai considerati dai Comandi come i riferimenti e referenti “politicoideologici” della “rivolta”.Ma se una cosa mancava a Sandro, guascone com’era fino ad apparire spaccone a volte, era quella astuzia diplomatica che avrebbe dovuto farne, nelle aspettative dei superiori, un Menenio Agrippa dei nostri giorni. Non sapeva raccontare apologhi accattivanti ed impersonali proprio perché avrebbe dovuto estraniarsi dai suoi racconti. Ed un uomo come lui, tutto schierato ad affermare comunque se stesso, non ne sarebbe stato capace. Ed aveva invece un altro pregio, Sandro, forse poco noto ai suoi superiori. La capacità di ascoltare quanti non fossero rimasti schiacciati dalla sua parlantina vulcanica e dalla sua innata capacità di affabulazione. Il fallimento di quella missione di mediazione e l’essersi trovato davanti a Sottufficiali per nulla intimoriti di parlare apertamente ad un Maggiore, contestandone i ragionamenti e ridimensionandone la legittimità delle pretese - mi avrebbe raccontato successivamente - lo aveva turbato profondamente. Per la prima volta si era trovato davanti uomini non disposti a transigere ne’ a svendersi “per trenta denari” o per un “boccone di pane” o “la promessa di qualche scopata” (così mi ripeteva). Aveva sentito ragionamenti a lui fino ad allora ignoti o poco considerati su Diritti e Costituzione, su Persona e Dignità, su Forze Armate e Democrazia. E aveva avvertito che lui per la prima volta non sarebbe stato in grado, in quelle condizioni e su quegli argomenti, di essere sentito come “il Comandante”, il riferimento anche a terra, quando la missione di volo fosse terminata. Perché non aveva gli strumenti idonei a mostrarsi un “Comandante” su quei percorsi politici, che avvertiva come pericolosi e che pure sentiva lo affascinavano. Lo scontro con me fu durissimo. Si concretizzò nei giorni precedenti la famosa Assemblea Nazionale del Coordinamento dei Sottufficiali Democratici che si sarebbe tenuta a Febbraio del 1976 nel Teatro Verdi di Pisa. I Comandi erano in uno stato di fibrillazione incontrollabile. Sapevano che i Parlamentari delle Commissioni Difesa di Camera e Senato avevano deciso di partecipare ai lavori, offrendo cosi' una sponda istituzionale di garanzia alla legittimità dei lavori. Sapevano che anche tra gli Ufficiali si muovevano e si dibattevano le “idee nuove” di Democrazia di cui i Sottufficiali si erano fatti portatori e testimoni, e sapevano che tra gli Ufficiali si svolgevano serrati ed aspri confronti in cui si discuteva della legittimità di tali iniziative pubbliche dei Sottufficiali e della necessità che anche gli Ufficiali si coinvolgessero in quel momento di democratizzazione e di crescita di sensibilità civile e sociale dei Cittadini in Armi. Dopo molte discussioni cominciava ad essere chiaro anche agli Ufficiali più retrivi come fosse necessario conoscere direttamente e profondamente le istanze della base e conoscerne le motivazioni, se si voleva sperare di mantenere un ruolo ed una funzione di dirigenza. Come sarebbe stato possibile “dirigere e comandare” degli uomini con cui si era addirittura incapaci di dialogare e di condividere i temi ed il pensiero? In molti si faceva così strada la consapevolezza di come la partecipazione non doveva necessariamente significare essere travolti dalle proposte della base, ne’ la disponibilità al confronto aperto e leale avrebbe necessariamente costretto a rimanere passivi di fronte alle rivendicazioni che da essa venivano avanzate. Cominciavano a capire che la conoscenza e la capacità di confrontarsi ed interloquire con i subalterni poteva apparire cosa del tutto nuova ed inusuale, ma erano anche l’unica possibilità per esprimere dissenso e diversità di opinioni e per indicare eventuali e possibili percorsi alternativi di comportamento, che prescindessero tuttavia dal negazionismo preventivo ed arrogante di un “comandante” che si aspetti e pretenda solo obbedienza dai propri sottoposti, anche ove non si tratti di necessità e momenti operativi. Gli Ufficiali dunque cominciavano a farsi coinvolgere nel cuore del metodo democratico. Ma il punto era proprio questo: poteva consentirsi alla “classe dirigente degli Ufficiali” di accettare il confronto con la “classe esecutiva dei Sottufficiali”, e perciò stesso con una categoria di “inferiori” predestinata da sempre alla sola obbedienza “pronta, cieca ed assoluta” degli ordini dei “superiori Ufficiali”? La ovvia risposta dei Comandi, in una simile logica di approccio al problema, era un NO di assoluta intransigenza, su un punto che riteneva il fulcro di tutto l’edificio militare:l’obbedienza appunto. “Qui si obbedisce, e non si discute, e chi, tra lor signori, vuol essere ritenuto degno del comandare non può consentire alcuna discussione con i propri subalterni ed inferiori.”Io cercavo di animare questi confronti tra Ufficiali, anche attraverso la “Calotta” un antico strumento di espressione degli Ufficiali Inferiori, cioè fino al grado di Capitano (una specie di “sfogatoio” del tutto privo di efficacia, perché inibito a qualsivoglia costruzione di percorsi alternativi della cosiddetta “condizione militare”, e pertanto privo assolutamente di pericolosità per le attese delle “gerarchie”). Alle riunioni della Calotta era sempre consentito che partecipassero liberamente Ufficiali superiori (fino a Colonnello) o gli stessi Comandanti Generali. Nell’approssimarsi del Febbraio era stata emanata dallo Stato Maggiore una circolare in cui si ricordava agli Ufficiali il divieto tassativo di intervenire in pubbliche manifestazioni e segnatamente a quella prevista a Pisa dai “sovversivi”, e si ammoniva che chiunque fosse intervenuto a tale pubblica iniziativa anche senza prendere la parola sarebbe stato denunciato al Tribunale Militare per insubordinazione e per quanti altri reati militari quella Magistratura Speciale avesse ritenuto di dover procedere. Ci ritrovammo al Circolo Ufficiali in circa venti giovani Tenenti e Capitani. Discutevamo animatamente sulla legittimità di quel diktat e sulla necessità o meno di assecondarne le disposizioni, anche in forza della presenza alla Assemblea non solo dei membri del Parlamento ma anche, e forse soprattutto, di un Ufficiale Generale della Marina, in Servizio, l’Ammiraglio Falco Accame (divenuto ormai leader e riferimento di tutto il Movimento), che dimostrava la infondatezza e la insostenibilità delle disposizioni dello Stato Maggiore. Ad un certo punto, mentre stavo parlando e cercando di convincere i miei timorosi colleghi, intervenne Sandro. Esordì con un “ragazzo”, indirizzato a me, tipico di una cultura paternalista del potere ed allo stesso tempo umiliante per il proprio interlocutore, e subito dopo si lasciò andare ad un discorso di impeto con la sua nota enfasi e con argomentazioni aggressive, fino ad apparirmi offensive, contro di me e le tesi che andavo sostenendo, di violare cioè e consapevolmente quanto invece non ci veniva espressamente permesso dai Comandanti Superiori. Lo ascoltai pazientemente qualche minuto, osservando l’efficacia che le sue parole ottenevano purtroppo sulla pavidità dei colleghi, ora rassicurati sulla esigenza di astenersi dal partecipare. Ricordo che alla fine sbottai con un “Ora basta, Comandante”, che lo sorprese ed ottenne l’effetto di tacitarlo. Approfittai di quei momenti di incertezza da parte sua per assumere la conduzione del dibattito e per ricordargli che le sue argomentazioni erano del tutto infondate. E presi a parlargli di Gandhi. “Cosa c’entra ora Gandhi?” provò a dire Sandro sempre più sbigottito.“C’entra, Comandante, c’entra. E se ha la bontà di ascoltare qualche minuto e’ forse possibile che anche Lei possa riuscire a capirlo”, dissi con fare volutamente sprezzante, che lo fece certamente inviperire ma accesero la sua massima attenzione.“Vede, prima di discutere se una iniziativa sia giusta o non giusta, legittima o non legittima, bisogna avere capacità di analizzare da che cosa essa nasce, e dove si nutrono il malcontento e le espressioni anche esasperate che determinano scelte di rottura. Quando Gandhi decise di organizzare la grande marcia per rivendicare il diritto ad estrarre il sale dal mare, sul quale il Governo inglese rivendicava invece un proprio monopolio, egli si recò anzitutto dal Governatore per informarlo in anticipo della sua iniziativa e della ragione che la suggeriva: e cioè affermare il diritto dei popoli di accesso e sfruttamento delle risorse naturali dei propri territori. Il Governatore seppe solo rispondere, con la arroganza che mostra sempre il potere quando non vuole confrontarsi con i propri “sudditi”, che lui non concedeva il permesso di organizzare quella marcia e di effettuare quella raccolta di sale. Ma Gandhi rispose che non era andato lì per chiedere alcun permesso. Se si chiede un permesso a qualcuno, osservò il Mahatma, gli si riconosce il potere di negarlo. Io sono venuto ad informarla, proseguì Gandhi, che domani noi eserciteremo il nostro diritto naturale ad accedere alla risorsa del sale, e lei dovrà allora misurarsi con la vera natura della vostra presenza qui in India e del vostro modo di gestire le risorse che sono nostre e che voi ci avete depredato. Lei potrà ricorrere a qualsiasi violenza per impedircelo sapendo che noi comunque non reagiremo e non ci lasceremo tentare dalla prospettiva di utilizzare il vostro stesso strumento di violenza, perché altrimenti legittimeremmo la vostra. Ma sappia che tutto il mondo conoscerà il vero volto del potere Inglese. Sta a Lei scegliere quale sia il volto inglese che vorrete mostrare e far conoscere al mondo. Come ben vede, Comandante Marcucci, siamo in una situazione assolutamente identica. La nostra Costituzione riconosce infatti a tutti i Cittadini di partecipare alla formazione del proprio destino e della propria storia, attraverso la libera espressione del pensiero e la determinazione a realizzare, nelle forme specifiche del proprio status e della propria cultura, la partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese, avendo lo Stato garantito i diritti inviolabili dell’Uomo sia come Persona che come formazioni sociali ove si svolge la sua attività e si sviluppa la sua personalità. Gli unici limiti previsti da questa Costituzione alla piena parità di diritti dei Militari con gli altri Cittadini - e comunque solo come ipotetica possibilità da regolare per Legge - riferiscono alle garanzie di iscrizione sindacale ed ai Partiti Politici, per i Militari ed i Magistrati; ma nulla nel nostro ordinamento costituzionale impedisce che Ufficiali, Sottufficiali e Società Civile si incontrino in luoghi pubblici per dibattere sul ruolo, le funzioni, e le modalità di esercizio dei poteri conferiti a qualsiasi apparato dello Stato, e tanto più per le Forze Armate che sono chiamate a garantire la natura Democratica delle Istituzioni, avendo al tempo stesso il gravoso ed esclusivo potere dell’uso delle armi e della violenza, pur nei limiti fissati dalla Legge. E qui, in questa specifica circostanza, lo Stato – nei nostri superiori che dovrebbero rappresentarlo in questa circostanza -, piuttosto che consentire ai propri rappresentanti e funzionari di coalizzarsi per la limitazione di questi Diritti ai Cittadini in Armi, dovrebbe essere invece impegnato, come vuole la Costituzione, a rimuovere tutti gli impedimenti di ordine economico e sociale che di fatto inibiscano la “pari dignità” dei Cittadini. Cioè, in buona sostanza. questo Stato dovrebbe essere impegnato a rimuovere quei Comandanti che ostacolano la pari dignità dei Cittadini, e non a consentire loro di minacciare chi quei diritti rivendica e promuove. Le ricordo, se mai lo avesse saputo o sbadatamente lo avesse dimenticato, che l’art. 52 della Costituzione vuole che l’Ordinamento delle Forze Armate – e cioè dire tutta la sua Organizzazione e le sue espressioni e direttive concrete – dovrebbero informarsi allo “Spirito Democratico della Repubblica”.Con il suo atto di intimidazione lo Stato Maggiore e’ allora lui ad apparire del tutto illegittimo piuttosto che la pubblica iniziativa dei Sottufficiali, e dunque io, noi dovrei dire come “Militari Democratici” (fu la prima volta che coniai quello che sarebbe stato in seguito l’appellativo del nostro Movimento) non siamo ne’ tenuti alla obbedienza, ne’ siamo qui a chiedere alcun permesso, proprio come Gandhi, ma stiamo correttamente informando i superiori ed i colleghi di una pubblica iniziativa che terremo sul territorio. E starà dunque a loro mostrare la natura - democratica ovvero antidemocratica ed autoritaria - che essi ritengano invece sia da attribuire al potere militare nei confronti del Paese e che vogliano dunque esibire nei confronti dei loro stessi uomini militanti. Forse alcuni colleghi Ufficiali, troppo poco attenti a questi cardini della Democrazia che pure hanno giurato di difendere, potranno essere preoccupati delle conseguenze drammatiche per la propria carriera che Lei, volutamente e neppure troppo velatamente, ha fatto trapelare dalle sue parole. Ma un altro valore della Costituzione Democratica e’ quello della consapevole responsabilità personale di ciascun Cittadino per le proprie azioni, quindi sta a ciascuno dei colleghi decidere se far prevalere le proprie paure e pavidità sulla necessità di essere presenti laddove i propri uomini accetteranno di mettere a rischio il proprio futuro. A me personalmente le Sue considerazioni di disprezzo e di minaccia – conclusi – non fanno ne’ caldo ne’ freddo, perché esse offendono piuttosto la persona che le pronuncia e la funzione che essa riveste. Io non ho bisogno di alcuna minaccia per essere indotto a fare ciò che e’ giusto e doveroso fare. E poiche’ questo e’ il mio metro di comportamento nella normale attività da Ufficiale, anche in questo caso so che la cosa giusta e’ partecipare. E lo farò, come cercherò fino in fondo di convincere i miei colleghi a partecipare per non rinnegare il ruolo ed i compiti di dirigenza degli uomini che ci sono stati affidati dal Paese e comandando i quali siamo chiamati a garantirne la sicurezza delle Istituzioni Democratiche. Quella della Assemblea e’ una sfida che proprio voi che ambite al comando dovreste comunque saper raccogliere. Perché, anche non si condividessero le posizioni o richieste dei Sottufficiali organizzatori, ed anche si volesse operare per disinnescare quella che viene definita semplicemente una “protesta” – e che a me sembra comunque assolutamente una ragionevole, argomentata, e dunque legittima, “proposta” - nessuno di voi, così carichi di saccenza e vuota presunzione, e’ riuscito ancora a spiegarmi, fino ad oggi, come si possano domani comandare degli uomini di cui non si conoscano e non si intendano conoscere le motivazioni di dissenso e non si comprendano e non si vogliano comprendere le ragioni di malumore, e di cui non si intenda vagliare la bontà delle proposte. E con i quali non si sia avuto il coraggio di condividere momenti alti di recupero di dignità. Intendete esercitare l’Autorità che vi e’ stata riconosciuta ed affidata dall’alto solo con i deferimenti ai Tribunali Militari? Solo con minacce di ritorsioni su carriera e vita professionale ordinaria? E’ con questi metodi e con questa idea di Autorità che pensa di poter avere uomini affidabili e consapevolmente subordinati quando dovrà dare ordini operativi, e a rischio della vita? Non le sembra di esservi fermati alle vicende di Caporetto dove i combattenti furono costretti a misurarsi solo perché avevano battaglioni di Carabinieri alle spalle pronti a colpirli se avessero abbandonato la lotta? Lei, Comandante, con i suoi discorsi, sta facendo perdere tempo a tutti noi, e sta rischiando di farci perdere un treno di partecipazione attiva e consapevole alla vita democratica del nostro Paese.”L’avevo sparata grossa, ma continuai a guardarlo dritto negli occhi, anche dopo aver finito quella lunga sparata e nel silenzio più totale degli altri presenti.“Chiedo scusa se ho interferito con la vostra discussione – fu la sorprendente e secca risposta di Sandro – e vi lascio. Ciascuno decida in coscienza e liberamente come vorrà comportarsi tenendo conto di tutto quanto e’ stato detto e preannunciato. Io e te invece “giovanotto” (che era un salto di apprezzamento rispetto al “ragazzo” precedente) dovremo parlare più a lungo. Perché può anche darsi che io alla fine decida di venire, nella mia qualità di Ufficiale e di Comandante, ma prima vorrei capire meglio ciò che sta accadendo. Dopo tutto quello che ci siamo detti, sei disponibile a venire a cena con me?”.“Se paga lei, Comandante, nessun problema. Sappia solo che sono un osso duro. Anche per lei.”. “Meglio, a me piace rosicchiarli gli ossi, dopo aver finito la bistecca”, concluse con baldanza quasi ritrovata. Finì con il fissarmi l’appuntamento per la sera successiva, in un ristorantino in una piazzetta in Città appena dietro Borgo stretto. Credo che avremmo fatto l’alba in quel ristorante se verso l’una non ci avessero gentilmente pregato di lasciare il locale. Sandro era stato inizialmente un fiume in piena, la sua storia personale, le sue aspettative, il suo modo di pensare al Comando ed alla vita, i suoi errori, tutto era stato messo sul tavolo come una specie di esorcismo liberatorio. E lì mi aveva parlato della sua esperienza con i Sottufficiali al Circolo, deludente e sconvolgente al tempo stesso. Poi, quando io ero ormai quasi alla fine del secondo piatto e lui non lo aveva ancora toccato, si arrestò di colpo e mi disse “Ora fammi capire: cosa ci sarebbe di sbagliato in tutto questo?”. Mi aveva costretto, ordinandomelo, a passare al tu, ed allora attaccai io:“Vedi Comandante (va bene il “tu”, ma sarei passato a chiamarlo Sandro solo dopo alcuni mesi) quello che c’e’ di sbagliato, se proprio vuoi saperlo, sei tu. Tu con la tua convinzione di essere l’unico gallo del pollaio, quello che ha capito tutto della vita, quello che pensa che siccome ha un grado ed una storia (come se gli altri attorno a te fossero persone senza storia ne’ radici, e come se le loro funzioni e gradi non avessero alcuna rilevanza al tuo confronto) questo lo autorizzi di per se stesso a ritenere di possedere in esclusiva le competenze necessarie ad essere il migliore. Del dialogo, del confronto con le persone non hai detto mezza parola. Certo hai parlato anche dei tuoi limiti, delle tue difficoltà, dei tuoi errori, ma come un lavacro catartico in cui ancora una volta tu solo sei attore e protagonista unico. A me tutto questo non interessa. Tu non sei venuto a confessarti stasera, e tanto meno assolverti e’ il mio ruolo e scopo. Solo i pavidi e gli sciocchi presuntuosi si aspettano assoluzioni liberatorie dei propri errori per il solo fatto di averli confessati, e non per aver mutato metro e modo di comportamento. Vorrei solo dirti che la vita di ogni Persona e dunque la storia di tutto questo nostro Paese, sono delle realtà molto più variegate di quanto tu neppure sospetti. Tu sei un uomo di destra, lo dice la tua storia e tutta la tua vita. Io sono un uomo di sinistra. Eppure tutti e due facciamo lo stesso mestiere, con aspettative certamente diverse e con motivazioni certamente diverse, ma facciamo lo stesso mestiere. Fuori direbbero, come lo dicono dentro, che siamo incompatibili, e che l’uno o l’altro ha sbagliato strada. Ma questo non e’ vero. L’unica incompatibilità, non con me ma con le Istituzioni e gli apparati dello Stato, sarebbe una attesa apertamente finalizzata alla ricostituzione di un regime fascista. Ma da qui alle ordinarie diversità che si vogliono forzosamente ritenere incompatibili e che invece dovrebbero sapersi comporre in un quadro di valori condivisi, la differenza e’ grande. Da quando ero ragazzino a scuola mi opprimeva questo modo di separarsi e di rinserrarsi ciascuno nel suo pollaio in cui tutti, professori, sindacati, organizzazioni politiche e studentesche, avrebbero voluto poter contare i propri ”polli iscritti”. Ma la Costituzione di questo Paese, la sua storia e la Lotta di Liberazione raccontano tutta un’altra cosa. Dicono che i diversi lavorano spesso negli stessi ambienti, condividono a volte insospettabilmente anche le medesime aspirazioni, e comunque la nostra Storia chiama tutti a partecipare alla formazione del proprio destino in una forma di confronto democratico, aperto, rispettoso delle differenze e delle minoranze, garante degli stessi diritti inviolabili a tutti, di qualsiasi parte siano. E’ per questo che i democristiani ed i comunisti della Resistenza seppero combattere assieme l’unico vero nemico che e’ l’assolutismo ideologico e la dittatura politica di un Paese – che nel nostro caso e’ stato il Fascismo -.E’ per questo che oggi, nelle Forze Armate, nonostante il desiderio di tanti gallonati di vederle selezionate solo con uomini di destra per essere un domani possibili e docili strumenti di volontà autoritarie e avventure revansciste, il grande meccanismo di contaminazione democratica costituito dalla leva obbligatoria e la naturale ambizione ed aspirazione ad una vita “normale” dei singoli cittadini, porta a condividere le medesime scelte professionali ed oggi le medesime lotte di rinnovamento democratico (sì vanno chiamate con il loro nome, lotte) gli Stilli, con i Pulvirenti, i Totaro con i Frittoli e via dicendo, che hanno anime politiche assolutamente distanti e vengono da percorsi umani apparentemente incommensurabili. Perché se un pregio inestimabile hanno comunque avuto queste Forze Armate ed i loro Sottufficiali (che non piuttosto la classe Ufficiali) e’ l’averci offerto un senso dello Stato che nella stessa Società Civile si sta forse rischiando di perdere, nella generalizzata corruzione, mistificando lo Stato in una specie di vacca da cui tutti possono suggere latte senza preoccuparsi di come possa produrne. E ciò e’ possibile quando una classe sociale vuole tenere in pugno tutte le altre, in forme di schiavitù in cui le misere prebende concesse ai sottoposti sono frutto di sottomissione e non di promozione di diritti e dignità umana, e dunque lo schiavo non ponga e non si ponga il problema della formazione e della ripartizione delle risorse ma rivendichi per se’ stesso solo alcuni minimali servizi come una sottospecie di diritto frutto esclusivo della propria sudditanza. Per questo i “padroni illuminati” della storia si sono sempre e comunque preoccupati di serbare parte delle casse del tesoro per la soddisfazione dei plebei, fin dai giochi dell’arena nella Roma imperiale. Ci sono voluti gli studenti e gli operai con le loro lotte sociali a ricordarci che solo con l’allargamento dei diritti fondamentali e civili, e con la crescita di una coscienza sociale diffusa e responsabile diviene possibile e necessario tornare a crescere in una cultura ed in un senso dello Stato che non sia di puro utilizzo di servizi e risorse, ma costruzione faticosa e prodotta insieme di consapevolezza e di responsabilità. Partecipando tutti alla definizione dell’interesse pubblico ed alla rivendicazione della dignità privata, dal posto di lavoro alla vita familiare. E qui tra noi, Cittadini in Armi, siamo molto indietro con la crescita rinnovata di questo senso profondo della Democrazia, mentre sta galoppando la approssimazione professionale, la corruzione diffusa, la ignoranza presuntuosa e in ultima analisi si prepara la svendita del Paese. Contraddicendo per primi quegli insegnamenti di nobiltà, onestà, efficienza e correttezza che fino a qualche anno fa ci venivano proposti come valori inalienabili. Ora noi, noi militari democratici, vogliamo che all’interno di questa piccola e ancor breve stagione costituzionale del nostro Paese e di questo nostro ancor giovane senso di partecipazione, il nostro senso dello Stato collabori con tutta la Società Civile al fine che il Paese e le sue Istituzioni siano sempre più espressioni di Democrazia e sempre meno di forme di autoritarismo autoreferenziale o svenduto ad altre potenze esterne. Qui nasce il conflitto. Che e’ un conflitto vero, tra persone e tra funzioni. Ma prima di schierarsi per l’uno o per l’altro bisogna saper valutare serenamente quali siano il ruolo e la funzione delle Forze Armate, nella nostra Costituzione e non in antiche e logore tradizioni che pretendano di rimanerne incontaminate od estranee alla logica costituzionale. Bisogna saperci chiedere e chiedere se stiamo rispondendo lealmente alle attese costituzionali riposte su di noi, se i nostri strumenti e il nostro ordinamento sono realmente funzionali a quelle prospettive e non isterilirci su una nostalgia di operatività guerreggiata che sarebbe per alcuni l’unico metro con il quale valutare le Forze Armate ed i suoi uomini. (Salvo poi pretendere di essere “irresponsabili”, per aver solo eseguito ordini superiori, quando le sorti delle guerre volgessero al peggio). Bisogna saper declinare apertamente quali e quanti prezzi siamo disponibili a pagare perché la nostra funzione non sia parassitaria e pericolosamente tentata di autoritarismo, ma sia componente di pari dignità nella costruzione della Democrazia. Noi che ci classifichiamo così ostinatamente in gradi e categorie di lavoro e non sappiamo di appartenere all’unica categoria possibile e declinabile: quella di essere Uomini e Cittadini, sempre ed in qualsiasi condizione, e non solo quando indossiamo i gradi o rivestiamo una funzione. E non e’ facile essere Uomini sempre, quando continue tentazioni di meschinità lusingano la nostra vanità anche se offendono la nostra dignità. Vedi, Comandante, a me non interessa se tu sei il migliore dei piloti. A me interessa sapere se tu, in quanto il migliore pilota, eseguiresti passivamente l’eventuale ordine di andare a paracadutare truppe di assalto sul nostro Parlamento, se tu fossi disponibile a bombardarlo solo in virtù di un ordine ricevuto. O se tu saresti capace di obiezione e di rifiuto. Vorrei capire non se tu voglia combattere, ma solo per che cosa e per quali valori sei disponibile a combattere, mettendoti in gioco. Vorrei capire se la tua carriera e’ più importante della limpidezza dei tuoi comportamenti e se il tuo interesse viene prima di quello del Paese e della sua Democrazia, o viceversa. Ecco perché la cosa che non funziona nei tuoi ragionamenti sei solo tu. Tu che aspiri ai piu' alti livelli solo perché riponi in te stesso la soluzione dei problemi della Forza Armata e del Paese, e non capisci che un Paese che voglia dirsi e costruirsi come espressione di Democrazia ha bisogno di un Popolo che condivida aspirazioni e valori per essere tale, tu che rifiuti di valutare ciò che e’ giusto indipendentemente dal grado di chi agisca ma che accetti passivamente qualsiasi cosa purché venga dai tuoi superiori; tu che ti ostini a non denunciare le carenze e le responsabilità tecnico-amministrative di dispersione delle risorse che il Paese ci affida solo perché uomini a te superiori in grado e carriera pretenderebbero che tutti avessero gli occhi chiusi. Ma lo sai, tu che hai così largamente parlato del tuo coraggio, quanto fegato ci vuole ad un vecchio Maresciallo, intristito nella obbedienza pronta cieca ed assoluta, per denunciare apertamente le ruberie, le scorrettezze dei propri superiori, per rivendicare la propria dignità umana e di Cittadino di fronte ad uno dei tanti Generali che infangano tutti noi, sbrodolandosi nella propria smania di esibire potere? E’ questo ciò che hanno trovato il coraggio di fare questi Sottufficiali Democratici, e dovrebbe essere un insegnamento per tutti noi, perché loro hanno avviato una nuova Resistenza contro chi come noi e’ pronto ad abbandonarli ancora al proprio destino in un qualsiasi nuovo 8 Settembre. Tu che abbai così spesso verso gli inferiori (ma poi che razza di gergo abbiamo mai assimilato per parlare di noi come entità umane divise in “inferiori e superiori” piuttosto che di Persone con gradi diversi e che, solo in relazione alle proprie funzioni, sono riconducibili a criteri di “subordinati e sovraordinati” oppure di ”dirigenti ed esecutori”?), hai mai provato a guardare negli occhi un tuo superiore che rubi e a dirgli serenamente, come stanno facendo questi splendidi Sottufficiali, “non ti e’ lecito farlo”, o un tuo superiore che umili ingiustamente un subordinato e dirgli serenamente e severamente “non ti e’ lecito farlo”?Ecco perché non funzioni. Perché ti ritieni destinato a grandi cose, ma non sei così umile da piegarti sulle piccole attese quotidiane delle Persone, per comprenderle e condividerle ed eventualmente liberarle dalla prigione di meschinità in cui ciascuno di noi rinchiude spesso la sua umanità. Noi cerchiamo altro alla nostra storia personale, ed uomini con le tue potenzialità sarebbero estremamente importanti al Movimento, per rafforzarlo ed equilibrarlo. Ma non vogliamo e non permetteremo che uomini come te, solo perché hanno un grado superiore ed una personalità dirompente, possano inibire questa nostra voglia di essere Cittadini come gli altri, che collaborano con gli altri, che con gli altri Cittadini vogliano contaminarsi nel medesimo bagno di Democrazia e Costituzione, rimanendo ciascuno nella propria realtà e partendo ciascuno dalla propria specifica professione, cultura e sensibilità per la crescita di noi stessi e del Paese con noi. E ci andremo dunque a quella benedetta Assemblea, ne puoi star certo, e prenderemo la parola. Io la prenderò come ho già fatto a Livorno dopo aver cercato di ascoltare e di capire a Venezia. Ora dimmelo tu, piuttosto, cosa c’e’ di sbagliato in tutto questo mio ragionamento?”E qui venne fuori quel lato di Sandro che mi ha sempre affascinato. Com’era impetuoso quando riteneva di avere ragione o di possedere risposte, così diveniva silenzioso ed ascoltatore attento quando capiva di aver individuato delle proprie lacune. Senza alcun senso di umiliazione sapeva chiedere di essere aiutato a capire ed a “crescere”, e non era un “allievo” passivo, ma diveniva avido di conoscenza per sentirsi al più presto in grado di gestire quanto di nuovo poteva essergli stato proposto. Dopo un non breve silenzio che diede modo ad entrambi di finire il nostro dolce, se ne uscì con poche e secche parole:“Niente. Non c’e’ niente di sbagliato. O almeno io non so capirlo perché non mi sono mai misurato con queste prospettive. Quello che capisco e’ che prima di stasera disprezzavo molti nostri colleghi e superiori perché dicevo che, senza divisa, non si sarebbero sentiti nessuno, tanto che avrebbero necessità di farsi persino la doccia indossando i gradi. Ma non capivo che ciascuno di noi può innamorarsi e sposare la propria immagine ne’ più ne meno della nostra funzione e dei nostri gradi, per cui forse anch’io quando faccio la doccia ho bisogno della mia immagine vincente, senza mai saper essere un semplice uomo nudo. Vorrei saper seguire questo percorso, ma non sarà facile. Avrò bisogno del tuo aiuto e di quanti vorranno farlo. Forse anche di quei Sottufficiali che verranno al Verdi. Beh e’ certo che dovrò esserci anch’io se vorrò cercare di capire qualcosa.”Non mi fidavo del tutto. Poteva essere stata una astuta messinscena, tutta quella serata, per costruire una accattivante immagine di interesse e disponibilità che gli permettesse di infiltrarsi nel Movimento come astuto referente del Comando. E per un lungo tempo avrei limitato le mie confidenze e le condivisioni con Sandro. Ma ero al tempo stesso consapevole che il medesimo dubbio nei miei confronti si agitava tra i Sottufficiali che si erano mostrati molto felici dei miei primi interventi e tuttavia molto problematici sulla mia genuinità. Sapevo che solo il tempo e le prove concrete, non le elugubrazioni vuote e senza fondamento che avessi potuto propormi e proporre, avrebbero potuto e saputo sdoganare la mia credibilità nei confronti dei Sottufficiali, e dunque quella di Sandro nei miei confronti. Conservai dunque con legittima consapevolezza quel benefico dubbio, e lo incoraggiai con un “Molto bene, Comandante.”.Parlammo poi delle nostre famiglie, dei nostri impegni sociali e delle nostre attese e speranze, fino a che, come dicevo, non fummo cortesemente invitati a togliere le tende. Come ogni neofita, e con il carattere impetuoso che lo contraddistingueva, Sandro si mostrava impaziente di mostrare i “propri progressi”. Cominciò con lo studio della Costituzione e, per la prima volta, cercò di rileggere ordinamenti e codici militari con gli occhi critici del dettato costituzionale. Mi costringeva spesso a lunghi ed estenuanti confronti sul come sarebbe stato possibile realizzare una Democrazia in una Forza Armata fondata sulla Autorità, fin quando un giorno, appena qualche mese dopo il nostro primo approccio, non arrivò trionfante affermando:“Ho capito quello che dice la Costituzione. Il Comando, come ogni altra funzione ed Istituzione dello Stato, può e deve fondarsi sulla Autorevolezza e non sull’Autoritarismo, sulla responsabilità e non sull’arbitrio insindacabile. Dunque e’ facile la Democrazia se non ci lasciamo spaventare dall’idea e dal timore che essa possa divenire il disfacimento delle Istituzioni. Certo se sono Istituzioni fondate sull’autoritarismo autoreferenziale esse si sentiranno aggredite dalla Democrazia, ma se vivranno nel suo spirito esse si dovrebbero sentire promosse da ogni manifestazione di partecipazione e corroborate da ogni leale espressione di dissenso. Questa idea di Democrazia e’ bella. Certo non e’ quella che viene vissuta non solo nelle strutture militari, ma anche nelle stesse Istituzioni Politiche. Ma e’ bella, perché può essere più forte anche di chi la nega e tradisce”. Beh, era davvero un salto di qualità sorprendente, e sorprendentemente veloce. Da lì a qualche tempo, benché di nuovo “pendolare” dalla Base di Pisa per un suo nuovo incarico operativo a Pratica di Mare, avrebbe avuto uno scontro durissimo con un suo pari grado il T. Col. Chiappini, Comandante del Reparto STO (Servizi Tecnici Operativi, in pratica le officine, cuore della operatività di una base aerea) per la punizione che era stata inflitta da costui ad un anziano Maresciallo di Viareggio, Gemignani se non ricordo male, per “essere stato sorpreso quest’ultimo a leggere durante il servizio, nel turno notturno al CDA, - udite, udite – la Costituzione”. Sandro era andato su tutte le furie, lo aveva affrontato ricordandogli come gli armadietti e le scrivanie di servizio, dal corpo di guardia fino alla sala operativa di base, fossero state sempre piene di riviste pornografiche, e come la loro lettura non avesse mai comportato per qualcuno il rischio della sanzione militare disciplinare, mentre ora si puniva un militare reo di cercare di leggere e capire quello che avrebbe dovuto essere il manuale della convivenza civile e politico-istituzionale di tutti i Cittadini. Dovette essere una scena alla quale mi sarebbe piaciuto assistere, ma dovetti godermela solo dalle parole e dal racconto di Sandro. Ma questa progressione impressionante lo stava portando verso la cosciente e consapevole distruzione della sua carriera fino a quel momento brillante e carica di soddisfazioni e di rosee prospettive di successi ulteriori. Il Comando si sentiva infatti maggiormente tradito da lui, che aveva cullato come esemplare “continuatore della specie”, piuttosto che da qualsiasi altro. Lui che si era trasformato da “Ambasciatore” in “colluso con i rivoltosi” ed in animo critico delle “politiche” di Comando. La sua punizione avrebbe dovuto essere più dura. E lo sarebbe stata, alla fine, con la sua diretta eliminazione fisica, dopo un lungo calvario umano e professionale. Intanto quelle “politiche di governo del personale”, spesso contraddittorie, che si andava cercando faticosamente di costruire e rabberciare dopo ogni “sconfitta”, per fronteggiare quella che a loro giudizio era “l’ondata rossa” e che, se non fermata – come ha scritto con aperta sfacciataggine il Gen. De Paolis nel suo “Obiettivo mancato” definendoci “figli delle Brigate Rosse” e quant’altro ha ritenuto di vomitarci addosso nel suo scritto - rischiavano di travolgere tutto il personale militare e “l’istituzione-organizzione” con esso. Eppure quel momento caotico diveniva per uno strano contrappasso anche l’occasione per fare chiarezza tra le diverse sensibilità e far emergere le diverse personalità ed attese di ciascuno. Così come la mia prima denuncia al Tribunale Militare di La Spezia, per il mio intervento nella pubblica Assemblea di Livorno, fu certamente il primo momento del mio sdoganamento verso i Sottufficiali - che mi immortalarono in procinto di lanciarmi dall’aereo (non si capiva bene se con o senza paracadute), in un celebre volantino stilato e diffuso in occasione della visita a Pisa del Capo di Stato Maggiore Generale Lucertini e che divenne motivo per la incriminazione dei Sottufficiali refenti del Movimento -, le vicende persecutorie che iniziò a vivere Sandro lo sdoganarono definitivamente nella fiducia mia personale e progressivamente anche degli uomini del Movimento tutto. I colleghi capivano di essere di fronte a qualcuno che mostrava addirittura una riserva maggiore della propria in coraggio e determinazione, perché alla fine e’ più facile ad uno schiavo scoprire ragioni e trovare motivazioni per una sua ribellione alle condizioni di oppressione cui sia soggetto, che non ad un “padrone” o “cucciolo di padrone” rimettere in gioco e in discussione i propri privilegi in nome ed in virtù di valori e di principi di pari dignità. Ma il bello nel Movimento e’ stato proprio questo reciproco riconoscere le fatiche ed i percorsi di liberazione che ciascuno di noi ha dovuto accettare e seguire, partendo dalla propria concreta realtà e rimanendovi comunque dentro, per affrontare l’avventura della Democratizzazione. Senza nessuna pretesa di riconoscimenti e classifiche di merito. Solo così ciascuno di noi e’ stato in grado di portare tutta intera la ricchezza della propria personalità che si era formata e sviluppata in quella specifica condizione e categoria, per liberarci tutti insieme da una logica di dominio e procedere insieme verso una logica di maggiore Democrazia e di Servizio al Paese. Non certamente per rivoluzionare l’ordinamento di Forza Armata e del Paese, ma solo per adeguarlo alle esigenze fissate dalla Costituzione. La cosa che più ci intristiva era vedere Colonnelli che cercavano i leader dei Sottufficiali nella speranza di poter essere “raccomandati” presso i superiori con cui quei Sottufficiali avevano maggiore frequentazione di loro. Scambiando cioè il durissimo confronto che quotidianamente ciascuno di essi doveva ingaggiare con superiori ostinatamente ciechi e spesso ottusi o volutamente sordi sulle prospettive di riforma democratica, come nuove forme di privilegio e di potere già conquistate agli occhi di quegli stolti, per il solo fatto che quei subalterni avessero frequentazioni maggiori nelle stanze del potere. Spesso sono proprio i pavidi a spingerti a mutare una rivoluzione del cuore e della mente in una rivoluzione che diventa pura caccia del potere. Ma questa tentazione, posso dirlo con fierezza, l’abbiamo tutti superata, anche se la contropartita e’ stata di dover accettare la distruzione sistematica di ciascuno di noi. Questa, come abbiamo già visto parlando della vicenda di Lino Totaro, era stata la condizione che gli era diventata insopportabile e che gli aveva reso impossibile rimanere ancora in servizio. Quando un Generale di Squadra Aerea, Comandante di Regione, ha bisogno di chiedersi apertamente se e come sia possibile dare ragione ad un Sottufficiale, smentendo un altro Generale, Comandante di una Base Aerea ai suoi ordini, e cercando tuttavia di mistificare questo convincimento (per cui ti do ragione in privato, non potendo dartela in pubblico), vuol dire davvero che la Forza Armata sta crollando, proprio come nel periodo del basso impero romano. E tu puoi sentirti responsabile di quel crollo, pur mentre hai la consapevolezza di non aver lavorato per sostituire il potere, e maturi dunque la coscienza di non poter e saper reggere questo eventuale rovesciamento di ruoli e di funzioni, perché non hai combattuto per ottenere questo. Quando Lino lasciò la base e la Forza Armata, fu Sandro a volergli consegnare la targa che il Movimento gli dedicò ed a suggerire la iscrizione della dedica con cui volemmo salutarlo e ringraziarlo:“Lascia la tua speranza che hai risvegliato in tutti noi nelle nostre mani e non volgerti mai a rimpiangere il passato. Noi difenderemo la dignità che ci hai restituita.”A noi questa possibilità di difendere quella dignità non è stata consentita poi molto più a lungo. Mi piacerebbe chiedere a tanti di quei colleghi che oggi godono alcune possibilità democratiche forse impensate e molti dei quali a quei tempi neppure avevano ancora indossato la divisa, che cosa sia rimasto della dignità per cui noi abbiamo combattuto, rimanendo stritolati dalla reazione feroce del potere militare, coalizzato con la pavidità della Politica. Ma quella frase, io credo, sia la sintesi più limpida ed evidente dell’itinerario che Sandro aveva percorso in appena tre anni di impegno democratico e che fotografava eccezionalmente il senso dell’impegno di tutti noi. Il calvario di Sandro era già iniziato da quasi un anno, quando ricevetti la convocazione del Presidente Pertini alla quale avrei risposto positivamente, come abbiamo visto nello specifico capitolo, solo se ricevuto in delegazione. Una delegazione che, in quanto accettata dal Presidente, vide ricevuti al Quirinale Sandro Marcucci, Lino Totaro e me, in un indimenticabile faccia a faccia con un vero campione di Democrazia. Credo che quella magnifica esperienza e lezione di Democrazia sia rimasta in noi tre come un’ancora di incrollabile fede nei valori della Costituzione di questo Paese. Sandro fu vulcanico, alla presenza del Presidente, ma si acquietò di fronte alle pacate parole con cui Pertini volle ricordarci le tappe del suo calvario di antifascista ed ammonirci sulla necessità di essere pronti a pagare i prezzi del nostro impegno senza lamentarci e senza attenderci da lui impossibili aiuti e diretti interventi. Uscendo da quello studio presidenziale credo che ciascuno di noi ebbe coscienza che quell’esperienza era stata “l’inizio della fine” della nostra presenza nelle Forze Armate.